Dash, la lotta pluriennale per affrancarsi da una pessima fama
Il token è stato rimosso da ShapeShift e da eToroX
Dash è un protocollo nato nel corso del 2014 da un fork di Bitcoin, con il nome di Darkcoin. Da allora è passata molta acqua sotto i ponti, ma il token non è mai riuscito ad affrancarsi da una pessima fama.
Dovuta in particolare al fatto di essere stato il primo progetto crittografico ad adottare i mixer CoinJoin, considerati una vera e propria arma contro chiunque cerchi di raccogliere informazioni KYC (know-your-customer). Una mossa da cui Dash non è più riuscita a slegarsi, nonostante i suoi sviluppatori assicurino che non si tratta più di una privacy coin.
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Le dichiarazioni di Ryan Taylor
Anche il CEO di Dash Core Group, Ryan Taylor, ha battuto su questo punto nel corso di una intervista rilasciata a Decrypt. Affermando in particolare che il gruppo di lavoro ha sempre portato avanti una politica tendente al varo di una blockchain completamente alla luce del sole, con tutti gli input, output, importi, indirizzi del tutto trasparenti.
Aggiungendo poi che non esiste una base legale che consenta di trattare Dash in modo diverso da Bitcoin. Una affermazione basata sul fatto che il protocollo di transazione sarebbe identico a quello di BTC.
Il nodo è rappresentato da PrivateSend
Più che l’adozione di CoinJoin, però, il problema è da ravvisare nel lancio di DarkSend, in seguito denominato PrivateSend.
Si tratta di un processo ideato da Evan Duffield, il creatore di Dash, il quale ha lasciato l’azienda all’inizio del 2017, che gli utenti possono implementare prima di una transazione in modo da andare a confondere le disponibilità del portafoglio. In tal modo un osservatore esterno non è in grado di determinare la fonte di finanziamento.
Secondo Taylor, però, non sarebbe uno strumento in grado di sfuggire agli strumenti di tracciamento varati di recente da Cipher Trace o Chainalysis.
Il delisting da ShapeShift
Di recente, però, anche Dash è stato escluso dalle transazioni di ShapeShift, alla stregua di quanto avvenuto per Monero e Zcash. Una decisione la quale ha provocato non poche polemiche e molto sorprendente alla luce del passato libertario di Erik Voorhees, il fondatore dell’exchange.
Su questa esclusione si è pronunciato Glenn Austin, CFO di Dash Core Group, il quale ha ipotizzato che un ruolo chiave nel provvedimento di ShapeShift potrebbe essere stato giocato dal Department of Justice Cryptocurrency Enforcement Framework.
Cosa dice il Department of Justice Cryptocurrency Enforcement Framework
Il documento, rilasciato il mese scorso, afferma infatti che le aziende di servizi monetari dovrebbero prendere in considerazione l’idea di approntare una rete tesa ad isolare progetti che si propongono di garantire livelli di privacy tali da poter arrivare addirittura all’anonimato. Tali token, infatti, potrebbero rivelarsi strumenti ideali per il riciclaggio di denaro sporco e per il terrorismo.
Proprio per evitare problemi con organizzazioni statali di contrasto ad attività di questo genere, ShapeShift ha dunque rimosso Dash. Come aveva già fatto eToroX nel corso del 2019. Un provvedimento contro cui Dash continua a protestare in quanto non accetta l’equiparazione a Monero e Zcash.
Secondo Ryan Taylor, infatti, le informazioni sulle transazioni sono offuscate a livello di blockchain. Cosa che invece non accadrebbe nel caso di Dash. Per ora, però, sembra che tale impostazione non sia riuscita ad affermarsi. Se le cose rimarranno le stesse, il futuro potrebbe rivelarsi molto deludente per Dash, attualmente al 29° posto nella classifica di capitalizzazione di mercato del settore crittografico.