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In Ucraina si pensa di utilizzare il surplus di energia elettrica per il mining

Il lockdown in atto in molte parti del globo, sembra aprire nuove prospettive per il mining. Come è noto, l’attività di estrazione dei blocchi per il Bitcoin e le altre monete virtuali rappresenta un carico notevole per la rete elettrica. Se, infatti, i macchinari predisposti per questo genere di operazioni si fanno sempre più efficienti, l’impatto in termini di consumi è comunque molto elevato. Tanto da spingere ad una riflessione gli stessi miners, come sta accadendo del resto in questi giorni.
Proprio per cercare di limitare la spesa che ne deriva, molte aziende posizionano i loro stabilimenti in Paesi ove l’energia elettrica costa meno, ad esempio in Cina oppure in Iran.
Negli ultimi mesi, però, la necessità di garantire misure sanitarie in grado di non dare modo al Covid-19 di diffondersi, ha imposto l’obbligo di chiudere un gran numero di attività produttive e commerciali. Ne è risultato un surplus di energia elettrica che ora potrebbe essere proprio ceduto al mining. Come si sta pensando di fare in Ucraina.

La dichiarazione del Ministero dell’energia ucraino

In un recente post pubblicato sulla sua pagina Facebook, il Ministero dell’energia ucraino ha indicato nel mining di criptovaluta un modo contemporaneo ed efficiente per poter utilizzare l’energia in eccesso. Quella in pratica che, in questo momento, non viene consumata dal settore produttivo tradizionale e la quale viene prodotta dalle centrali nucleari ancora disseminate lungo il territorio statale.
Già il 5 maggio, peraltro, in un comunicato stampa in lingua russa Forklog, il capo ad interim del ministero dell’Energia ucraino aveva provveduto a chiedere all’Ente statale Energoatom lo studio di un piano teso ad indentificare i potenziali modi di implementare l’estrazione di criptovaluta presso gli impianti di generazione di energia nucleare del paese. Il piano dovrebbe essere consegnato nei prossimi giorni.

Le centrali nucleari potrebbero dedicarsi anche al mining

Va sottolineato come l’ipotesi che va avanzando in Ucraina è già una notevole realtà negli Stati Uniti. Ove la centrale elettrica posta nella regione dei Finger Lakes di New York riesce ad ricavare circa 50mila dollari ogni giorno sotto forma di Bitcoin estratti usando proprio l’elettricità prodotta al suo interno.
Proprio il fatto di poter utilizzare l’elettricità autoprodotta rende l’operazione conveniente, tanto da spingere Atlas Holding, la società di private equity proprietaria della struttura, ad installare 7mila dispositivi adatti alla crittografia in una mining farm integrata nella centrale elettrica da 65mila piedi quadrati costruita a Dresda, nell’hinterland di New York.

Cosa accadrà dopo l’halving di Bitcoin?

E’ stata proprio Atlas Holding a ricordare l’estrema convenienza della procedura predisposta, la quale permette alle operazioni di estrazione dei blocchi di avvenire a costi molto contenuti.
Una convenienza che non dovrebbe essere intaccata in maniera significativa neanche dal previsto dimezzamento delle ricompense che scatterà il prossimo 12 maggio.
L’halving, molto temuto da un notevole numero di miners, non sembra assolutamente spaventare Atlas Holding, la quale sembra del tutto intenzionata a proseguire un’attività che si è rivelata sin qui molto redditizia.
Un modello, quello statunitense, il quale potrebbe quindi irradiarsi presto in tutto il globo, accoppiando mining e generazione di energia elettrica con economie di scala estremamente convenienti.

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Dario Marchetti

Sono laureato in Lettere e Filosofia alla Sapienza di Roma, con una tesi sul confine orientale d'Italia alla fine della Prima Guerra Mondiale. Ho collaborato con svariati siti su molte tematiche e guidato il gruppo di lavoro che ha pubblicato il CD-Rom ufficiale della S.S. Lazio "Storia di un amore" e "Storia fotografica della Magica Roma".

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